lunedì 9 gennaio 2012

Parco dei Castelli Romani: il Piano di Assetto motivi e contese di una storia infinita (prima puntata)


La storia del Piano di Assetto del Parco Regionale dei Castelli Romani, deve ancora vedere scritta la parola fine. Sono passati ben 27 anni dalla legge istitutiva, ma il Piano del Parco non è opera compiuta. Questa vicenda è tristemente rappresentativa della realtà delle aree protette del Lazio, dove soltanto il Parco dei Monti Lucretili e quello dei Simbruini hanno un Piano del Parco approvato con legge regionale, forse perché sono aree più marginali, poco urbanizzate e ampiamente boscate; altre aree di importanza strategica − perché maggiormente sottoposte alla pressione antropica e agli interessi edificatori − come Parco dei Castelli, Parco Appia Antica, Parco di Vejo, Parco di Bracciano Martignano, ne sono sprovviste.
Come sia possibile operare una reale politica di tutela del patrimonio naturale e culturale, in mancanza di reali strumenti di gestione è uno dei tanti misteri di questo singolare Paese. Se poi a questo si aggiunge il dimezzamento dei finanziamenti per i Parchi, si completa un quadro già di per se sconsolante.


Il Parco Regionale dei Castelli Romani è l’unica area protetta del Lazio la cui istituzione è stata fortemente voluta dalla popolazione. Alcune associazioni dei Castelli Romani e personalità della cultura ambientale promossero una raccolta di firme per richiedere l’istituzione di un Parco nell’area dei Castelli Romani. Furono raccolte migliaia di firme e presentata alla Regione Lazio una bozza di legge istitutiva di iniziativa popolare. Ci sono voluti sei anni di estenuanti discussioni e mediazioni tra le forze politiche, associazioni ambientaliste e di categoria. Finalmente il 13 gennaio 1984, il Consiglio Regionale del Lazio approvò la legge istitutiva di quello che fu denominato “Parco Suburbano dei Castelli Romani”.
A tutta prima questa legge definì i confini dell’area protetta equivalenti all’intero territorio comunale di tutti i 15 Comuni che formavano il Parco. Un colosso di 45.000 ettari di territorio.

Dieci mesi dopo, con la legge n. 64/84, la Regione ha drasticamente ridimensionato il confine originario, portandolo da 45.000 a soli 9.500 ettari, lasciando fuori territori pregiatissimi con dei veri e propri assurdi ecologico-pianificatori (basta pensare ai Monti dell’Artemisio che la nuova perimetrazione tutelava solo a metà, con una linea di confine che passava in cresta). Non solo ma veniva esclusa tutta la zona agricola e lasciati fuori i caratteristici centri storici, a parte quello di Nemi. Escludere zone agricole pregiate dove si produce il vino, un prodotto che rappresenta l’essenza stessa dei Castelli Romani; ed escludere i centri storici così pervasi di storia e tradizioni, rappresenta un errore strategico in un’ottica di tutela/valorizzazione e di straordinaria insensibilità culturale.

Entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge, l’Ente gestore del Parco avrebbe dovuto individuare e adottare la Perimetrazione e il Piano di Assetto del Parco.
La legge istitutiva, in attesa del Piano di Assetto, all’articolo 8 prevedeva comunque delle “Norme di Salvaguardia” da applicare dall’istituzione fino alla data della entrata in vigore del Piano di Assetto.
Dunque il Consorzio dei Comuni del Parco aveva tempo diciotto mesi per produrre Perimetrazione e Piano, ma i tempi non furono rispettati. I cinquantuno rappresentati (una cifra iperbolica) dei quindici comuni, della Provincia di Roma e della XI Comunità Montana che insieme formavano l’Assemblea Consortile del Parco, in quattordici anni non sono riusciti a definire né confini né Piano di Assetto (continua)

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